Negare la natura…

21/09/2019

…per migliorare il mondo (o per peggiorarlo)

Verità e menzogne per il bene per il male

Tutti coloro che sono stati e sono ai vertici della piramide sociale o ai livelli medio-alti, i privilegiati e i benestanti, i dominanti, hanno giustificato la loro posizione anche (pur se non solamente) rimandandone l’origine o la motivazione nella Natura. A questa imputavano diseguaglianze, ingiustizie, dominii, gerarchie.

Aristocrazie di ogni epoca, borghesia ottocentesca e successiva, razze e etnie dominanti si sono sempre fatte scudo della Natura per chiudere la bocca ad agitatori sociali, contestatori, riformatori, utopisti, rivoluzionari, anticolonialisti, antirazzisti etc. (e per tacitare la propria coscienza).

Questi invece, avendo finalità opposte, della Natura hanno negato l’esistenza o l’hanno sostenuta ma giurando che essa non giustifica le diseguaglianze, derivanti invece da processi storico-sociali che in realtà deformano e tradiscono la vera naturale uguaglianza degli umani. Ingiustizie e gerarchie dunque non in ordine con essa, ma letteralmente contronatura.

Lo stesso dicasi per le pulsioni individuali verso comportamenti antisociali, originate (se non tutte, quasi) da cause sociali. “Gli esseri umani sono buoni, è la società a renderli cattivi”.

E’ una contraddizione stridente negare la Natura (e la natura umana) e al tempo stesso sostenere che esiste ma che è buona, non cattiva. Questa contraddizione però non ha portato né danni né imbarazzi ai progressisti del mondo, giacché nei conflitti ideal-politici coerenza e logica sono irrilevanti e le contraddizioni, quando non siano addirittura indispensabili, ben raramente sono dannose.

Primi furono gli illuministi per i quali con l’istruzione e l’educazione l’umanità avrebbe marciato verso “sorti magnifiche e progressive” stante “l’infinita perfettibilità umana”. Dopo di loro vennero i democratici dell’Ottocento, i primi antirazzisti, i socialisti, i marxisti-comunisti . Insieme, o poco dopo, gli anticolonialisti e le femministe.

Tutti a negare che la Natura abbia a che vedere con l’ordinamento sociale e – men che mai – che lo possa giustificare (la c.d. “fallacia naturalistica”). Procedimento che ha dato qualche risultato.

Contadini, lavoratori manuali e sottoproletari non sono più considerati esseri inferiori. Il razzismo esiste ancora, ma non riesce più a giustificarsi chiamando in causa un’inferiorità naturale, né verso gli orientali né verso gli africani. Gli stessi delinquenti, pur venendo perseguiti, non sono per questo considerati dei subumani, come invece fu per secoli. Rei sì, ma non “inferiori”. Non si esprimono più giudizi “ontologici” di inferiorità su nessuna di quelle categorie. Un certo progresso dunque c’è stato e su questo, negare la Natura ha aiutato. Ma c’è un fondamento: quelle asserite “differenze naturali” non esistono. Scientificamente. Non ci sono. Punto.

Diseguaglianze, ingiustizie, esclusioni, discriminazioni, gerarchie di classi e di popoli continuano tuttavia a persistere. Chi le combatte continua a sostenere che esse sono fondamentalmente contronatura, come se la Natura fosse egalitaria e gli umani fossero buoni. Il che è falso.

Mentre è certo che tutti gli uomini appartengono alla stessa specie – DNA dixit – è invece falso che la Natura sia egalitaria e solidaristica. E’ bellissima ma spietata. In essa vige davvero la legge del più forte/fortunato: chi ce la fa si salva, chi non ce la fa muore. La legge della giungla. Appunto.

Se non vogliamo diseguaglianze, preclusioni, sfruttamenti etc. ciò è per una scelta morale, perché esercitiamo una opzione, non perché la Natura sia a ciò conforme. Al contrario.

Malattie, vecchiaia e morte sono ben dei fatti naturali, ma non per questo gradite.

Ingiustizie, discriminazioni e gerarchie sono fatti naturali, ma noi umani, per scelta etica, abbiamo deciso che sono mali contro i quali combattere.

Chi afferma che le ingiustizie sono innaturali, che il sistema economico fondato sulla legge della giungla (capitalismo) è contronatura, mente. E persiste*. Quella della giungla è appunto la legge della Natura.

Ha un solo difetto: è spietata ovvero disumana. Naturalmente disumana.

Resta il femminismo. Anche questa ideoutopia nega la Natura …e mente. Perché bianchi, neri e gialli sono naturalmente uguali. Femmine e maschi (di qualsiasi colore) sono naturalmente diversi. Lo dice il DNA (…ma non era necessario, …si “intuiva”…). Nondimeno quella negazione – quella bugia – è stata utilissima, uno strumento indispensabile nella sua lotta contro gli UU. Un’arma vincente.

Morale? Verità e menzogna sono strumenti per cambiare il mondo. Verso il meglio o verso il peggio. O per lasciarlo come è. Non fa differenza.


Tra virgolette citazioni (non testuali) in qs. ordine: J.J. Rousseau, G. Leopardi, N. de Condorcet, G. E. Moore. La fortunata formula di Moore “fallacia naturalistica” è depistante rispetto al suo significato e va intesa come “seduzione naturalistica” perché non si tratta di un errore innocuo, ma di un’idea psicologicamente disarmante. * L’ultimo in ordine di tempo e fama è T. Piketty che ripropone la favola di cui sopra: le ingiustizie sarebbero contronatura (con applausi del popolo…).


Lo schianto di Volo e lo spaccio di erotina

16/09/2019

Volo nella nebbia non vede

…le spacciatrici di erotina

E’ vero che la massa degli UU, quando parla delle DD, del conflitto tra i sessi, della famiglia, della questione LGBT, dell’aborto, delle quote rosa, del “femminicidio” (e via elencando…)  raramente dice qualcosa che non sia autolesionista.  Gli UU sono tutti armati di boomerang che lanciano con forza contro il nemico e che regolarmente ritornano sulle loro teste. E sulle nostre.

Sul tema è noto che quelli che stanno in alto (l’intelligencija) sono parte integrante della massa velleitaria e miope, saccente e presuntuosa.  Cieca. La sola diffrenza è che (essendo famosi) le loro sparate vengono subito enfatizzate dal sistema appunto in quanto utili alla guerra antimale.  Le dichiarazioni di Volo vengono pubblicate in  prima pagina proprio per questo.  Le mie, per dire, non lo sono mai state…

Il nostro dice che Ariana Grande vestirebbe talvolta da squillo e ciò (mala exempla) lo preoccuperebbe riguardo alle figlie.  Subito viene liquidato come “moralista” “bigotto” “ipocrita” “maschilista”. Banale.

Non ha capito la cifra e perciò dovrebbe tacere. Invece, al pari di infiniti altri, parla.

La questione dello smutandamento infatti non attiene alla morale, (laica o cattolica che sia) , né al al “buon gusto”, né alla “modestia”  (che sarebbe “confacente alle FF”- sic!) né alla “natura disdicevole” dell’interessata che esso manifesterebbe. Tutto ciò è armamentario del tempo che fu e – in quanto tale – oggi assolutamente impresentabile (oltreché depistante*).

La questione dello smutandamento infatti attiene al rapporto tra i sessi ed al nocumento che produce sugli UU.

Il danno che gli UU patiscono dall’esercizio di quel potere contro cui non hanno difesa né contropoteri. Questo è il problema. Qui sta la questione. Altro che “squillo”.

L’eccitazione sessuale maschile è di natura ottica, è evocata visivamente. Ciò vale, tra i mammiferi terrestri, solo per i maschi della specie umana**.

Il problema quindi non risiede in quel che le FF fanno, ma in quel che gli UU subiscono. Lo stillicidio della civetteria mantiene gli UU eternamente in “arousal” e perciò dipendenti. E’ uno degli strumenti della manipolazione femminile e del potere femminile, realtà su cui nessuna DD ha mai avuto bisogno di lezioni.  Ariana è superflua.

La questione del nudismo (mediatico …e oltre) è stata affrontata e definitivamente chiarita dal movimento maschile decenni orsono.  Nei termini detti. Ma agli UU piace. Certo: ai drogati piace la droga, agli alcolisti l’alcool, ai ludopatici il gioco…

Si chiama erotina, ma Volo non lo sa. Al pari di tutti gli altri. Presuntuosi autolesionisti.

Ovviamente ne scrissi – vanamente – in QMDT. Qui un link sul tema verso la storica NCFM americana.

Lo spaccio di erotina danneggia gli UU

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. * In realtà quel “moralismo” aveva come scopo inespresso (perché non dichiarabile) proprio la protezione del maschile dalla “potenza ottica” del corpo femminile. Scopo da mascherare-nascondere ma che oggi deve essere esplicitato (per ragioni che vedremo).
. ** Fino a prova contraria (che attendiamo dagli etologi).

Di chi è la vita

11/09/2019

…della società o dell’individuo?

Ritorna ciclicamente la questione della legittimità morale dell’eutanasia e delle pratiche assimilabili.  Giorni fa si è appreso di un uomo deceduto dopo 31 anni di coma. Oggi si ha notizia che M. Schumacher sarebbe cosciente e al tempo stesso si ascolta un intervento del presidente della CEI, card. Bassetti, ovviamente avverso ad ogni ipotesi di legalizzzazione del suicidio assistito.

Il principio alla base di ogni opposizione all’eutanasia, nelle sue diverse forme, è che la vita è sacra ed a nessuno è lecito sopprimerla. Neppure all’interessato: non esiste il “diritto di morire”.

Chi non sottoscriverebbe la dichiarazione che la vita è sacra, indisponibile e intangibile?

Purtroppo la vita non è né sacra né intangibile. É profana nel senso che è stata ed è profanata da sempre, ciò – e qui sta la contraddizione insanabile, occultata e forse neppure avvertita – che rende vuoto e mistificatorio quel grande principio.

La vita dei singoli e delle masse è da sempre rivendicata dalla società (Stato, tribù, comunità, etnia, classe, confessione, etc.) come proprietà indiscussa, della quale ha disposto a piacimento, senza che mai gli oppositori dell’eutanasia abbiano mosso obiezioni. La vita di miliardi di persone è stata sacrificata dai poteri collettivi nel corso della storia, per le più degne o indegne ragioni, sotto i più nobili o i più nefandi principi, i più indiscutibili o vergognosi interessi: la guerra.

Miliardi* di uomini sono morti mentre assassinavano altri miliardi di uomini.

Purtroppo la vita non è sacra.

Se si afferma – sarebbe lecito farlo – che non esiste il diritto di morire si deve prima affermare che meno ancora esiste il dovere di uccidere. Invece questo esiste. E’ il dovere del soldato di uccidere i suoi pari con altra divisa.

Ma la contraddizione è ancora più profonda, sino al paradosso. Mentre si nega il diritto di disporre della propria vita per il proprio interesse, si approva ed anzi si glorifica colui che in una operazione kamikaze va ad ammazzare e ad ammazzarsi nell’interesse altrui. Togliersi la vita e farsi aiutare nel farlo è lecito, l’eutanasia dunque è già lecita, purché sia a vantaggio di una organizzazione collettiva (Stato, tribù, comunità, etnia, classe, confessione, …) secondo le decisioni di coloro/colui che le controlla/governa.

La persona non ha dunque il diritto di morire, non possiede la propria vita. Essa è proprietà di Sargon I e di Pol Pot, di Innocenzo III e del Duce, di Ramsete II e di Hirohito. Delle Repubbliche socialiste come di quelle capitaliste. Di imperatori, re, viceré, luogotenenti. Di leader massimi e …minimi.

La vita non è sacra, non è indisponibile, non è il valore supremo. Non appartiene nemmeno a Dio. E’ possesso di potenze terrestri e di chi le comanda. Di questi, non del soggetto vivente.

Se non ho il diritto di morire, perché ho invece il dovere di uccidere e di morire uccidendo?

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* Si calcola che negli ultimi 80.000 anni siano vissuti circa 90 miliardi di uomini. Si calcola pure che dal 3 al 4% siano morti nelle guerre di tutti i tipi.
11/9/19

 


Il caso Stasi: fulminante vittoria del “Bene”

10/09/2019

Il Bene vince ancora…

Cosa sia accaduto a Genova a danno di Davide Stasi, e perciò in lesione della causa per la quale si batte, lo si può apprendere visitando il suo visitatissimo blog stalkersaraitu.com
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L’accaduto è grave ma non stupisce. Stupiva invece il fatto che quella iniziativa avesse ottenuto accreditamenti pubblici e che potesse aver luogo. Sarebbe stata senza precedenti. Ma la notorietà di Davide, meritatamente conquistata, gli è stata fatale.
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Qualcuno, cui era nota l’esistenza del nostro, ha lanciato la fatwa antimostro sul più femminista dei quotidiani nazionali (ciò sia detto senza offesa per il Corriere e La Stampa…). In un battibaleno sono entrate in azione le katjusce del femminismo italiano e così, prima che tramontasse il sole del giorno seguente, l’iniziativa veniva abortita.
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Vigilanza attiva, allarme immediato, potenza di fuoco, lancio istantaneo, mira perfetta. Una velocità di esecuzione da blitzkrieg, una combinazione mirabile di azioni concatenate prova di un’efficienza sbalorditiva.
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Ma non preordinate. Molto peggio: spontanee. Una dinamica automatica e automatizzata. Una cascata naturale.
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Il grido d’allarme della sentinella, il boato dei missili, la retromarcia dei prodi sostenitori, la chiusura dei cancelli.
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Il proditorio, blasfemo assalto è respinto.
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La bandiera della libertà (…e della comprensione e dell’ascolto e del dialogo…) garrisce ancora sulle torri del Bene.

…ma sarà per sempre?


Con i “SE” si fa la storia

07/09/2019

…solamente con i ‘se’

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“Con i ‘se’ non si fa la storia”. E’ una locuzione diffusissima, profferita in modo irriflesso da chi voglia tacitare un interlocutore cui sia sfuggito, improvvidamente, un ‘se’ riguardo al passato.
Colpito da questa pistolettata, il malcapitato tace.
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L’idea da cui si parte è che, analizzando la storia, raccontandola, non si possa far altro che prendere atto degli avvenimenti i quali sono andati in un modo e non nell’altro e vanno descritti per come sono andati non per come sarebbero – forse – potuti andare. Un modo diverso per dire che non si può modificare il passato. Ciò sembra molto ragionevole.
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Lo sarebbe davvero se la ricostruzione mirasse semplicemente a descrivere la successione degli avvenimenti. Se fosse il filmato di uno spicchio del passato, da guardare tacendo e senza imparare nulla.
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Senonché nessuna ricostruzione storica avrebbe ragion d’essere se non ci aiutasse a capire, ad imparare qualcosa ed è proprio questo lo scopo dello studio della storia. Questa è la finalità – implicita – di ogni narrazione. A quel fine, in modo spontaneo, corriamo a cercare le cause, i condizionamenti, e le scelte che precedettero ed accompagnarono quei fatti.
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Ora, e qui viene il bello, la ricerca delle cause include necessariamente e immediatamente la valutazione di ipotesi alternative, lo si riconosca o meno. La conoscenza è sempre conoscenza della catena delle cause e degli effetti, a loro volta causa di quelli successivi. La causa è riconoscibile solamente quando si isola – momentaneamente e per quanto possibile – un fattore e si elaborano congetture sulle diverse conseguenze che si sarebbero verificate (o si verificheranno) sostituendolo con un altro o modificandolo, poco o tanto, in termini di qualità, quantità, luogo, tempo etc..
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Ed è precisamente quel che fa la scienza sperimentale che in tal modo acquisisce conoscenza. Si analizzano i dati di un esperimento, ossia quel che è accaduto ore o mesi o anni prima ( e questo è il passato, ossia: storia) e su quella base si progetta un nuovo esperimento, confermando o modificando quel dato fattore allo scopo di registrare le connesse variazioni negli effetti (e questo è il futuro). Tale progetto presuppone il ‘se’ di cui è anzi una articolazione fattuale.
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Chiedersi “Cosa accadrebbe se modificassimo in questo senso quel parametro…?” equivale a chiedersi “Cosa sarebbe accaduto se lo avessimo modificato la volta precedente…?”. Che differenza fanno il dopo o il prima?  La domanda è precisamente la stessa, ha la stessa funzione ed il medesimo valore euristico. Rivolta al futuro o al passato non ha importanza: è la medesima. La relativa opzione mi darà (futuro) lo stesso effetto che mi avrebbe dato nel passato.
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Non conta che la domanda venga espressa nella prospettiva del passato o in quella del futuro, che il fatto sia accaduto o debba ancora accadere, tanto è vero che si può narrare (il cinema ne è prova) come futuro un avvenimento del passato (cambiando ambientazione, costumi etc.). In questo caso si vede bene che il ‘se’ rivolto alle scelte future di un personaggio è precisamente quello stesso ‘se’ che applichiamo al passato. Chiedersi “…cosa accadrebbe se Mario tacesse?” in questo falso futuro non è altro che chiedersi “…cosa sarebbe accaduto se Mario avesse taciuto?” nel vero passato.
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E’ che  ci lasciamo ingannare dal fatto che il passato non si può cambiare dimenticandoci con ciò che quel che ci interessa è il futuro e che stiamo inconsciamente proiettando quel passato nel futuro perché vogliamo imparare dalla storia (pubblica e privata). Noi siamo interessati a conoscere, ipotizzando il ripetersi di quel contesto nel futuro, quali sarebbero i diversi effetti delle diverse scelte (nostre o altrui). Solo in questo modo si impara dalla storia.
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E’ questo lo scopo che ci prefiggiamo nello studio (e nel racconto) della storia del mondo, dei popoli, dei gruppi. Ed è anche il modo con cui impariamo dalla nostra biografia, la nostra storia individuale.
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Nel soppesare le conseguenze delle nostre scelte (ovviamente sempre rivolte al futuro) il ‘se’, ossia la valutazione alternativa delle diverse opzioni, più che lecito è indispensabile,  tanto che nessuno ha mai detto né mai dirà: ”Con i ‘se’ non si fa il futuro!” giacché è proprio con i ‘se’ che progettiamo la vita. Passato e futuro – entrambi presentificati solo nella mente – sono due etichette che ai fini della conoscenza possono venir scambiate senza effetti F=P (…e quindi P=F… sic!).
Essendo dunque legittimo ed anzi necessario il ‘se’ targato F lo è parimenti quello targato P. Nulla muta.
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Nessuno dirà che Niccolò Machiavelli fosse sprovveduto o ingenuo, tuttavia nel Principe, ed ancor più nei Discorsi, usa senza remore il ‘se’ controfattuale riferito ad avvenimenti (scelte) di uomini e popoli del passato benché il suo scopo consistesse nel trasmettere insegnamenti …per il futuro.
Dice esplicitamente di aver scritto quei libri per tramandare ai posteri la conoscenza da lui acquisita dalla storia affinché giovi ad altri …nei tempi a venire (ovviamente).
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Certo, lui aveva un vantaggio su di noi: nessun interlocutore che potesse tacitarlo con la speciosa, inconsistente e tuttavia letale formula: “Con i ‘se’ non si fa la storia!”.
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Fantasma dialettico, locuzione virale durata secoli ma della quale anche noi, ora e finalmente, ci siamo liberati.
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Grazie Niccolò.

“Con i ‘se’ non si fa la storia!” Vero: ma noi non “facciamo” la storia, quella è già fatta.

Noi la studiamo… introducendovi tutti i ‘se’ necessari.