Roma? Si vota per Marchi

16/09/2021

Fabrizio Marchi è candidato alle comunali di  Roma. Non è necessario presentarlo a coloro che si occupano delle relazioni tra i sessi in questa stagione. Da molto tempo è impegnato con dedizione e passione a dar voce e forza alle ragioni negate e irrise degli uomini e dei padri, nell’ottica di un indispensabile riequilibrio della narrazione del passato e del presente, oggi monopolio del politicamente corretto di matrice femminista.

Già a suo tempo ho celebrato festosamente la sua coraggiosa discesa nell’arena in risposta ad un imperativo derivante da una lettura corretta-coerente di alcune pagine di Marx che altri fingeva di ignorare. Fu così il primo, in senso assoluto, ma non è più il solo. Il numero dei follower è andato estendendosi e ciò gli ha suggerito di proporsi ad una specifica forza politica quale portatore delle istanze predette.

E’ stato accolto dal Partito Comunista di Marco Rizzo, cui va dato atto di avergli prestato ascolto e di aver mostrato con ciò sia la necessaria sensibilità verso le tematiche di cui specificatamente si occupa Marchi sia un notevole coraggio politico. Scelta da lodare perché deriva dall’intuizione che i tempi stanno mutando, che sta maturando nella società il forte sospetto che la guerra dei sessi sia diventata maschera di quella contro gli uomini e contro i padri (oltreché di varie malefatte geopolitiche). A ciò si aggiunge il presentimento che la questione maschile stia diventando terreno di caccia per avversari e nemici politici, come in effetti sta accadendo altrove. Il PC si mette ora in gioco su questa tematica, con fiuto e coraggio. Bene.

Per coloro dunque che sono sulla linea del PC e che lo voterebbero comunque, la sfida sta nell’optare per un uomo che proprio in quanto marxista e comunista ha visto nella guerra dei sessi un depistaggio rispetto a quella di classe. Una banalità divenuta oggi rivoluzionaria.

I non comunisti hanno invece a disposizione due alibi per girarsi dall’altra parte. L’estraneità ideologica e l’irrilevanza politico-culturale che può avere un seggio in un consiglio comunale, pur se quello dell’Eterna Urbe. Si tratta però di due bassi pretesti.

Quando la storia bussò e furono in gioco valori fondanti, i liberali si allearono ai comunisti e i mangiapreti si unirono ai credenti. Chi sta fiutando il corso, ossia il decorso della malattia sociale in cui siamo immersi, sente che è di nuovo il tempo di scavalcare gli steccati e quindi, oggi, di votare per Marchi. Chi poi sa che i simboli determinano l’orientamento collettivo, rompono diaframmi e aprono nuovi scenari, non bada alla natura banalmente amministrativa della consultazione e perciò corre a votare per Marchi.  Lo fa perché questa candidatura è senza precedenti e il punto non è “cosa potrà fare” eletto in Campidoglio, la questione invece è:  cosa significa oggi la sua elezione nelle liste di un partito comunista e la sua presenza in un consesso pubblico, nel cuore di una istituzione. Significa qualcosa di mai visto.

Non giriamoci intorno: l’occasione è senza precedenti e non ci sono né se, né ma, né però, né forse. Si va a votare Fabrizio Marchi nel PC di Rizzo e si conquista così la prima voce pubblica nella Polis contro la guerra dei sessi.

Vai dunque Fabrizio e torna vincitore!


Il caso Marchi

16/09/2021

Ovvero: l’esistenza intermittente del Dio degli atei

Doveva essere un uomo di sinistra senza se, ma, però e forse. Doveva essere di estrema sinistra, cioè assolutamente antisistema, radicalmente anticapitalista, marx-comunista a 18 carati. Con i galloni di un percorso intellettuale ineccepibile, con la fedina politica linda, scevro da ogni compromesso, da ogni cedimento, da ogni revisionismo filosofico: dottrinariamente inattaccabile. Sconfinante nell’ortodossia.

Al versante filosofico cristallino avrebbe dovuto sommare un pluridecennale passato da attivista indomito, intemerato e coerente: teoria e prassi. Uno specchio di lucentezza politica.

Doveva possedere tutte quelle convinzioni, quei saperi, quella biografia che (al pari degli altri) gli impedissero di pensare e di agire controcorrente e ciononostante agisse e pensasse contro la marea, contro la massa elitaria della sinistra, schierata anima e corpo – natura coget – dalla parte del bene, lui, traditore, ormai convertitosi alla causa del male. Doveva essere posseduto dalla stessa malattia che ammorba quella perduta gente e ciononostante, anzi, proprio per questo, esser sanissimo. Un cieco dalla vista aquilina.

Tale doveva essere l’uomo che avrebbe potuto incistare in quelle anime esangui il virus della salute, ingannandone il sistema immunitario, eludendone le micidiali difese. In lui, ciò che per gli altri è causa di cecità doveva tramutarsi in illuminazione, quel che alimenta l’ottusità generare acume, quel che provoca conformismo, basso asservimento, innescare la rivolta.

Solo uno così avrebbe potuto murare in un vergognoso imbarazzo la bocca saccente dei maestri di bontà, quei coraggiosi che soffiano a favor di vento. Solo una siffatta creatura avrebbe potuto rompere l’incantesimo, tagliare il nodo gordiano che ammanetta gli uomini di sinistra, paralizzati, castrati, abbagliati dall’equazione accecante del XXI secolo: D=B.

La Donna è il bene. Il vero, l’universale. Il definitivo Bene.

Così doveva essere quell’uomo: ma dove trovare un simile ircocervo? A quale Dio appellarsi per invocarne l’apparizione? Un altro messia?

Certo quelle qualità sarebbero state essenziali, ma non bastanti. Doveva infatti essere non che coraggioso, temerario. Uno scriteriato disposto a bruciarsi, a subire dileggi e insulti, a perdere amicizie, a rischiare l’isolamento. Ad affrontare il destino dei reprobi.

E dove lo trovi uno così? Chi lo può foggiare, chi può materializzarlo?

Meglio poi (giacché quando si sogna tanto vale farlo alla grande) se a quelle dotazioni avesse aggiunto degli optional. Non uno sperduto pensiologo dell’assolata Gallura, delle plumbee Valli del Natisone, no. Uno di città, magari e meglio di una metropoli, dove incontri e relazioni, rapporti e contatti sono a portata di mano, dove la politica si fisicizza nello spazio di pochi chilometri.

E meglio ancora (giacché quando si vaneggia non c’è motivo di frenarsi) se fosse stato ben connesso all’universo dei media. Un giornalista, un pubblicista, dalle cento frequentazioni, dai mille contatti. Uno con addentellati e legami, conoscenze ed entrature nel mondo dell’informazione. Dulcis in fundo, culturalmente preparato, con solida memoria storica, specialmente versato nell’arte dialettica e – in cauda venenum – piccante polemista.

Ma questo è il profilo di una entità che non può esistere, la somma di ogni impossibilità. Ente contro la cui nascita giocano tutte le forze e le dinamiche pensabili: storico-politiche, filosofiche, culturali, sociali, personali, psicologiche, affettive e ormonali. Superficiali e profonde.

A noi umani – nel delirio – fu dato di immaginarlo. Ma solo una Potenza Trascendente poteva creare un simile diavolo, un tale mostro. Eppure fu creato. Emerso dall’impossibile, oggi c’è.

Da dove venga nessuno lo sa. Neppure lui.

Ciò prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che il Dio degli atei, talvolta, esiste.

(Prima pubblicazione 3/4/2015)